Ferragosto. Da piccola, le giornate caldissime prima di ferragosto, si affrontavano con il fresco che le mura abbaziali donavano, nello specifico quelle della chiesa. Infatti prima del 15 si usava recitare il rosario per qualche giorno e a tal scopo nel pomeriggio, le nonne sacrificavano la pennichella e si intrattenevano rintanate in chiesa per le preghiere consuetudinarie. Essendo io la bimba più piccola di tutta la marmaglia di giovincelli e giovincelle che chiassosi affollavano la corte, spesso, non potendomi unire ai loro giochi festosi, venivo trascinata aimè anch’io in tale recita e silenziosa sedevo ai piedi del portone chiuso. “Chiudi il portone sennò entra il caldo” dicevano ed io mi immaginavo il Signor Caldo che dinnanzi alla porta, gli veniva sbattuta in faccia.
Il portone della chiesa, da sempre presentava ampi spifferi e spiragli dato che il legno è antico e da quelle feritoie, entrava magico e rassicurante un meraviglioso raggio di sole. Seduta a gambe distese a terra per sentire tutto il fresco del pavimento, con le mani tra le gambe, con in sottofondo l’odore dell’umidità, dell’incenso e della terra e nelle orecchie la nenia ipnotica della recita delle preghiere delle nonne, guardavo il dito dell’oratrice avanzare tra le perline della corona e quel magico raggio di sole, stava lì, sorridente, regalandomi ignaro uno spettacolo senza pari. La luce di esso infatti evidenziava il pulviscolo polveroso che aleggiava nell’aria e tutti quei puntini si muovevano leggeri illuminati dal sole. Quanto mi piaceva guardare quella polvere danzare… con le dita a volte la sollecitavo e lei vorticava per poi riprendere il suo volo silenzioso. Impalpabile semplice e naturale evento che intratteneva magnificamente la mia noia. Santa noia, quanto mi hai regalato!!! Meravigliosa solitudine ti sarò sempre grata.